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Dall'uscita della Geburt di Friedrich Nietzsche i concetti di apollineo e dionisiaco si sono inesorabilmente imposti, in maniera più o meno consapevole e intenzionale, come irrinunciabile punto di riferimento filosofico per una qualsiasi indagine volta alla comprensione dell'Intero dell'essere, nonché volta alla comprensione di colui che domanda intorno ad una tale comprensione, ossia dello stesso esserci: del mortale. Quale è però l'essenziale valore metafisico che conviene a questi due noti principi? Essi sono costruzioni inconsce e proiezioni mitiche dell'antica civiltà greca; simboli coimplicantisi stanti ad indicare quel dialogo primigenio tra significazione conoscitiva legata all'espressività estetica e alla parola, ed immediatezza, ebbrezza e sentimento interiori estranei alla coscienza mediata e immediata. Attraverso una ricognizione teoretica che si colloca entro il campo d'indagini iniziate nel Novecento filosofico italiano, riconducibili rispettivamente alla Scuola metafisica padovana, e alla Filosofia dell'espressione di Giorgio Colli, i principi nietzschiani di apollineo e dionisiaco vengono qui ripensati nella loro essenziale coesistenza originaria seppur nell'insopprimibile distacco presente tra i due, ovvero in quella coesistenza che si costituisce come unità e scissione metafisiche di struttura formale del conoscere, e di trascendentale precosmico d'intelligibilità in cui si organizza e si dà il simbolismo archetipico della rappresentazione comprensiva.